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Il futuro è già passato e non ce ne siamo nemmeno accorti!

Sicurezza, guerra, seduzione: temi universali nelle Riscoperte di Louis e Léontine a la quarantaquattresima edizione de Le Giornate del Cinema Muto

Massi Boscarol

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Le Riscoperte di Louis e Léontine a la quarantaquattresima edizione de Le Giornate del Cinema Muto. Foto di Valerio Greco

PORDENONE – Uno si chiede: ma cosa mai tratteranno le trame dei film muti di oltre cent’anni fa? E chissà su quali temi si saranno soffermati sceneggiatori, registi e produttori di allora?! E ancora a quali ruoli ambivano i più importanti attori e le più importanti attrici dell’epoca per sfoggiare il loro talento. Risposta: semplice – sicurezza, guerre (e al come ovviarle) ed il gioco della seduzione. Allora come oggi temi che volenti o nolenti non sbiadiscono mai: universali, archetipici, dal classicismo al futurismo, dal bianco e nero al colore, dall’assenza di sonoro al caos perenne ci sussurrano “siamo fatti così!”

Focus su tre cortometraggi riscoperti di Louis Feuillade, regista francese di grande fama che agli albori partì dallo slapstick; pertanto, dicesi slapstick genere comico caratterizzato da gag meramente fisiche ora esagerate poi violente, tipo cadute e colpi, che spesso ci appare assolutamente infantile (accompagna la descrizione una mimica semidescrittiva).

Il primo, pochi minuti datati 1907: un gentleman bardato di cilindro, monocolo, rendigote e ghette sventa il tentativo di furto con colluttazione da parte di due balordi. Dopo il più classico dei rincorrimenti del b/n eccolo in primo piano che riposa esausto sulla sua poltrona preferita di pelle e mogano; di fronte la libreria a cui monta guardia un’armatura di stampo altomedioevale. Idea! Farsi fare una maglia in ferro come i cavalieri che secoli prima si sfidavano a singolar tenzone per affrontare senza indugio i malviventi. Arpeggi morbidi e melodie accattivanti accompagnano l’aspirante salvatore di sè stesso al commissionamento di tale strumento di difesa, quella giubba di ferro che dei bambini dickensiani, sfruttati garzoni di un artigiano di dubbia fama, fanno passare dentro una macchina sotto la quale passa la didascalia “meraviglie dell’elettromagnetismo!” Da qui in poi la sala del Verdi è una bolgia di risate. Avete intuito?! La maglia diventa una calamita e il malcapitato invece che respingere malviventi attrae tutto ciò che è di metallo: ecco che gli si appiccicano addosso bidoni della spazzatura, occhiali, monete, utensili, attrezzi di ogni tipo e sarà egli stesso a finire dalla Polizia per una serie di – sebbene involontari – furti. La sicurezza è un boomerang, lo sappiamo già, ma questi lo sapevano e ce lo dicevano col sorriso più di un secolo fa.

A proposito, c’è qualcuno che non ha mai frequentato LGDCM? Male, ma – nel caso – funziona così: il film viene proiettato nella sala del teatro, sempre strapiena in ogni ordine di posto, scorrono le didascalie, i dialoghi, le descrizioni, si ammirano gli iconici volti iperespressivi e nella buca c’è un musicista, o due, o un’orchestra per le serata clou che suona dal vivo non tanto una colonna sonora quanto una vera e propria descrizione musicale della pellicola. Nella fattispecie Meg Morley, pianista australiana che fa base a Londra, delicata e meravigliosa nel suo esserci in punta di piedi, anzi, di dita.

Secondo corto, qualche minuto più lungo sui nastri dell’epoca sapientemente restaurati, come da missione di Pordenone Silent. L’ispirazione questa volta è Lysistrata di Aristofane, commedia classica nelle quale le donne, per porre fine alla guerra del Peloponneso, escogitano uno stratagemma: non elargire più baci ai propri uomini. Nella versione originale, lo sciopero non è propriamente dei baci e ricorda un po’ più quello di cui menzionava Celentano in una celebre canzone che ricordava agli operai la sorte coniugale per chi non fosse andato a lavorare ma… il risultato è lo stesso. Pace fatta e vissero felici e baciati, flottiglie e sindacati vari avvisati. Superfluo aggiungere che anche qui come sopra avevano capito tutto molto prima di noi.

E arriviamo all’ultimo cortometraggio, una mezz’oretta di proiezione: Lagourdette è un elegantone innamorato di una fanciulla, dall’identità oscura sia nel film che nella sua vita di attrice (Léontine), che vagheggia per un libro dal titolo emblematico “I vampiri”. Attratta dal fascino del male quanto annoiata dal pretendente, ella lo sfida – per conquistare i propri favori – ad essere come quelle creature oscure che popolano la sua fantasia: coraggioso, scaltro, enigmatico ma anche immorale, senza regole, dannato. Ed arriva la genialata del nostro una volta rincasato: coinvolgere i domestici in un falso furto che lui perpetrerà a teatro. Da qui si scatena la più classica delle commedie degli equivoci, con scale in maggiore che sottolineano l’intercedere di un carosello di curiosi, malcapitati, sbirri, magistrati, maestranze e parvenu. Il machiavellismo maldestro questa volta porterà al lieto fine in questura anche se il saluto “a la prochaine!” che l’antieroe dichiara nei confronti dell’ispettore capo non pare di granchè buon auspicio.

Per noi invece la prossima è già segnata sul calendario: ottobre 2026, per la quarantacinquesima edizione del Festival più elegante, stiloso e passatista che possa esserci.

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