GradoTeatro
Haber, con l’ “H”. Come Haber
Il successo di “Volevo essere Marlon Brando” in quel di Grado. Le prossime date a Trieste, San Daniele, Cordenons

GRADO – Hello boys traversando tutto l’Illinois, siparietto con volto scolpito nell’ansia, sessant’anni di espressività oltre misura, compagni di viaggio memorabili, vedovi ai cimiteri, chirurghi pazzi, bari di carte assai improbabili, innamorati incorreggibili: sì, ce n’è davvero per tutti i gusti. Serata fredda e ventosa in quel di Grado per l’auto-tributo ad un monumento del cinema e del teatro italiano, tra i pochi che, riuscendo a smarcarsi dal ruolo di caratterista, siano stati capaci di ritagliarsi parti di eccezionali protagonisti, anello di congiunzione generazionale tra un’era straordinaria di attori straordinari ed un’altra totalmente sopravvalutata, laddove impalpabile, quand’anche inesistente.
Su di una poltrona, a fissare il vuoto, nevrotico dal sorriso magnetico, Alessandro Haber. Haber con l’H – come specifica più volte il medesimo – come hotel, come Hoffman, come Heidi.
Prima parte, la confessione, dove recitare è un verbo maledetto. Meglio giocare, come suggeriscono gli anglosassoni. Ma con sensibilità, perché è quello il bagaglio che occorre maggiormente, non la cultura. Che occorre per questa droga s’intende, perchè quello dell’attore non si può chiamare lavoro, a rincarare.
Aspira e fa l’amore col pubblico, Haber, dove “il testo diventa mio! E’ il tornare me stesso alla fine che è la parte più dura.” Intercala con una vena di malinconia. Forse due.
Parolacce ogni otto/dieci frasi in contesti seriosi: clichè che dovrebbe risuonare oramai vetusto ma che a quanto pare suscita ancora ilarità. Ma al Maestro gli si perdona tutto, soprattutto quando pluriaccentate volgarità strappano sorrisi, anche quando non vorresti sorridere. Come a Tel Aviv, in quello che definisce il suo primo spettacolo, a scuola, quando si piscia addosso fino ad arrivare al preside. Un disastro che gli fa capire sin dalla prima uscita che non potrà mai più far a meno di un palcoscenico.
Seconda parte, sempre su pretesto narrativo della serie ultimo giorno su questa terra prima della dipartita, è la volta della grandi collaborazioni, dei compagni di viaggio nel mondo dove tutto è possibile: maestri, amici, fratelli, allievi, di nuovo maestri, con tanto di aneddoti cadauno. E che portano i nomi di Carmelo Bene, Michele Placido, Francesco De Gregori (ed ammiriamo il nostro anche in versione cantante, con un’incisiva anima blues), Marco Bellocchio, Trintignant, Pupi Avati, De Sica. Dal quale, rivela, rifiutò una parte ne Il giardino dei Finzi Contini. “Pensate, Il giardino dei Finzi Contini!” (aspira e si dà una pacca sulla fronte). Per rifarsi qualche anno dopo, lavorando in una commedia… con il figlio. Per l’esplosione del parterre.
Un potpourri (vocabolo che egli adopera spesso a guida di neologismo per scandire l’indicibile) in una sceneggiatura che appare fragile, in perenne galleggiamento tra il semiserio, il cinico, lo scherzoso ed il consapevole, volta quasi ad imprigionare l’espressione del protagonista tra copione e spontaneità, dove i suoi iconici scatti d’ira arrivano meno angosciati del solito, per buon tacer degli analisti.
Sigaretta, poi due, poi tre, il telefono col filo legato al muro ed ancora la passione per il cinema, distante anni luce dall’amore incondizionato per il teatro. Dove l’attore controlla, invece di essere controllato. E gli amori, spesso al di sopra delle righe e le donne amate, come sopra. Applausi, simpatia, comprensione, immedesimazione, commozione, applausi.
E dopo la gustosa anteprima a Grado e la prima al Rossetti di Trieste, ecco che sarà ancora al Politeama il 28, 29 e 30 novembre e a dicembre sempre per il circuito ERT FVG a San Daniele (9) e Cordenons (10).
Sipario con Marlon Brando, il mito, non solo suo. “Ho sognato di essere come lui!” dichiara come lo si fa con un poker d’assi in mano. Tanto quanto però alla fine volesse essere solo… solo Haber. Haber con l’H. Come hotel, come Hoffman, come Heidi. Soprattutto come Haber.
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