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Saturday night Cormons

La notte jazz più lunga dell’anno con la performance di Wesseltoft & Schwarz, aperta dai vinili di Kaplan e conclusa sulle note di Scaramella e Mrach, come tradizione vuole

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foto: Luca D'Agostino e Luciano Rossetti / Phocus Agency

Cormons – Già ribattezzata negli anni la notte jazz più lunga dell’anno, la saturday night al Jazz & Wine of Peace di Cormons ancora una volta non si è voluta smentire. La musica contesa negli anni e nei luoghi tra intellettualismo e contestazione ha visto ancora una volta, e di sabato sera, trionfare il suo aspetto più mondano.

Ore ventunoequarantacinqueminuti: banco da falegname elettronico, mezzacoda new conception of jazz, è di scena la fragranza elettronica di Henrik Schwarz e Bugge Wesseltoft. Capriccio afro-digitale in overture, segue tribale in algoritmi in serie 010100011101, ma con anima. Gemelli di nero vestiti con t-shirt comoda da studio di registrazione, uno analogico (ma non solo), l’altro digitale (ma neanche questo è del tutto vero), pensiero all’unisono che rende la qualità del prodotto finito di squisita fattura artigianale, irreplicabile.

Flashback, dure ore prima. I jazzandwiners più esperti sanno che per godersi un pasto di tale portata al teatro di Cormons, vi è prima bisogno di un aperitivo. Per capire il futuro bisogna partire dal passato, si diceva, dal miglior passato, se possibile; cosa di meglio quindi che un tuffo nei ruggenti (prima) Anni Venti e a salire Trenta e Quaranta con i vinili di uno dei residence del festival ovvero Yeronimus Kaplan?! Cacciatore di gemme sonore, viaggiatore del tempo e dello spazio, l’abile conduttore trasforma l’enoteca del capoluogo del Collio (e del jazz, just for one week) in un viaggio tra gessati, bretelle, bastoni da passeggio, paillettes, boa di piume come da miglior immaginario collettivo. Consolle handmade a doppio piatto per 78 giri in gommalacca, passano due ore abbondanti di early jazz, swing, ragtime, dove l’ascolto è studiato al millimetro per riprodurre il suono così come lo si ascoltava ottant’anni fa. Macchine parlanti che in segnale monofonico culleranno i presenti in una sala d’attesa modello Orient Express 4.0.

«Sei dei nostri anche quest’anno?» era la telefonata che ricevevo verso la fine dell’estate da Fulvio Coceani, racconta il già citato conduttore (che preferisce questa definizione piuttosto che dj) «alla quale rispondevo sempre affermativamente e con grande entusiasmo. Quest’anno sappiamo com’è andata, e trovo molto bello che l’edizione sia stata dedicata a lui!»

Dall’enoteca è tutto, teatro a voi di nuovo la linea. E qui si continua sulla falsariga in una scaletta che non prevede crescendi ma un andamento ondivago: accenni di classicismo su bassi alla oxygène, poi impressionismo glitch; autumn leaves, foglie elettrificate che cadono e si dissolvono. Stacco spietato clubbing underground berlinese dove il domani non arriva mai. O almeno così ci si augura.

E’ Schwarz ora l’azionista di maggioranza della fabbrica del suono: i Kraftwerk dietro il tendone nero. Quindi dirige Wesseltoft:  pianismo nordico con luce hyperborea su copione già visto laddove i puristi del jazz abdicano la sala, sentendosi traditi. Una techno lenta, lugubre ed ammaliatrice è la colonna sonora di questo improbabile funerale, che sale e pian piano ti perfora. Il rapporto spazio-tempo per i sopravvissuti si imprezioscisce di un minuetto futuribile, sullo sfondo della quarta dimensione fischia una locomotiva che tramite sofisticati accordi viaggia a velocità iprecisata verso direzioni ignote, fludie e rigorosamente in bianco e nero: colori soppressi per esaltazione in una perpetua dinamica di contrasti ying e yang. Il basso frustrato pompa non quanto lo consente la sala, W&S che si cercano anche con gli sguardi come se fossero nel salotto di casa: ora sì che arrivano i colori a secchiate prima violente, poi gioiose, infine disperate: Yellow is the color, con fiocchi di neve prenatalizi. 

Clima non certo natalizio ma sicuramente festoso quello di un altro grande classico che chiude la serata: al Jazz & Wine le bar sono di scena i maestri Giampaolo Mrach e Giulio Scaramella. Perchè la tradizione vuole che non si possa andar a dormire prima di essersi fatti coccolare dalle note di Metti una Sera a Cena, piano e fisarmonica, meravigliosa!

Ma con gli uomini in nero, com’è finita? Un campionamento d’archi che fa memoria al miglior Alberto Iglesias nei titolo di testa delle produzioni de El Deseo, ancora rumore bianco, sferragliare stradale, trombe di Tangeri-West Berlin – là dove tutto ha avuto la sua genesi – ancora perpetua luce boreale.

Titoli di coda per una rinascita ibrido-digitale al di là del bene e del male e rappresentativa di una generazione che non sa mai se trovar riparo in una discoteca o in un teatro, respinta dal futuro e ripudiata dal passato, e che vorrebbe abbracciare entrambi in un non luogo magico, borderless, artefatto. Proprio come quello edificato da Wesseltoft & Schwarz al teatro di Cormons in una memorabile saturday night. E poi, e poi si aprono le luci.

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