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Donne di conforto, memoria e geopolitica: perché la Cina usa il passato per dividere il presente

La memoria delle donne di conforto come leva geopolitica: come la Cina usa il passato per influenzare alleanze e tensioni in Asia orientale.

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Bandiera cinese posizionata su una mappa geografica, rappresentazione del ruolo della Cina nel dibattito sulle donne di conforto (© Depositphotos)
Bandiera cinese posizionata su una mappa geografica, rappresentazione del ruolo della Cina nel dibattito sulle donne di conforto (© Depositphotos)

La memoria della Seconda guerra mondiale, incluse le vicende delle donne di conforto, non è oggi soltanto un tema storico, ma uno strumento politico attivamente utilizzato da Pechino per influenzare equilibri regionali e relazioni internazionali. In un’Asia orientale segnata dalle tensioni su Taiwan, dal riarmo giapponese e dalle dispute marittime nel Mar Cinese Meridionale, la Cina ricorre sempre più spesso al passato come leva per delegittimare avversari e disturbare alleanze emergenti.

Il caso della statua cinese apparsa a Melbourne nel 2025 offre un esempio rivelatore di questo meccanismo. Non per il valore artistico o commemorativo dell’opera, ma per il modo in cui è stata gestita e per le reazioni che ha suscitato. La statua, arrivata in Australia già nell’agosto del 2024, è rimasta per oltre un anno custodita in uno spazio privato, lontana da qualsiasi collocazione pubblica stabile, per poi essere presentata solo in occasioni selezionate e temporanee. Questa gestione prudente, quasi esitante, è indicativa della consapevolezza della sua carica politica.

Donne di conforto e memoria selettiva: quando la commemorazione diventa strumento politico

La proposta di collocare la statua cinese accanto alla Statue of Peace coreana, davanti alla sede della Korean Society of Victoria, è stata il momento in cui la questione è diventata apertamente controversa. Durante le commemorazioni per l’ottantesimo anniversario della fine della guerra, la statua è apparsa pubblicamente una sola volta, il 6 settembre 2025, per poi essere nuovamente rimossa. La successiva richiesta di installazione permanente è stata respinta da una parte significativa della comunità coreano-australiana dopo una consultazione pubblica.

Secondo i rappresentanti della Korean Society of Victoria, la proposta non rifletteva il consenso della comunità e risultava fortemente condizionata dal contesto politico attuale. Il rifiuto non va letto come una negazione del passato, ma come il timore che un simbolo commemorativo potesse essere trasformato in un’estensione di una narrativa geopolitica esterna. La questione delle donne di conforto, in questo caso, è stata percepita non come memoria condivisa, ma come veicolo di una lettura politica ben precisa.

Questo atteggiamento non è isolato. Anche in Corea del Sud cresce una corrente critica verso l’uso politico della memoria della guerra. Una parte dell’opinione pubblica coreana contesta la proliferazione di statue e memoriali, ritenendo che la questione sia stata talvolta enfatizzata oltre quanto supportato dal consenso storico e impiegata per alimentare un clima di ostilità permanente verso il Giappone. In questa prospettiva, le donne di conforto non vengono negate come realtà storica, ma sottratte a un uso simbolico che rischia di ridurle a strumento identitario.

È proprio questa ambiguità che la Cina sfrutta. Inserendosi in un dibattito già polarizzato, Pechino riesce a presentarsi come difensore della giustizia storica mentre, in pratica, accentua le fratture tra Corea del Sud e Giappone. L’obiettivo non è la riconciliazione, ma la cristallizzazione del conflitto memoriale.

La strategia cinese: dividere alleati, delegittimare il Giappone

Nel contesto geopolitico attuale, la memoria della Seconda guerra mondiale è particolarmente utile alla politica estera cinese. Il Giappone è oggi un attore chiave nella sicurezza regionale, soprattutto in relazione allo Stretto di Taiwan. Richiamare costantemente il passato consente a Pechino di dipingere Tokyo come un soggetto moralmente problematico, indebolendo la legittimità delle sue posizioni strategiche contemporanee.

Questo uso selettivo della memoria si inserisce in un quadro di crescenti tensioni regionali. Le frizioni tra Cina e Giappone si sono intensificate parallelamente all’aumento delle attività militari cinesi attorno a Taiwan e agli episodi nel Mar Cinese Meridionale che coinvolgono imbarcazioni filippine. In questo scenario, qualsiasi divisione tra Seul e Tokyo rappresenta un vantaggio strategico per Pechino.

La controversia di Melbourne dimostra che anche le comunità diasporiche riconoscono questo rischio. Il rifiuto di accogliere una statua percepita come politicamente carica non è un gesto contro la memoria storica, ma una forma di resistenza alla sua strumentalizzazione. È il riconoscimento che il passato può essere usato per importare conflitti geopolitici nello spazio civico di paesi terzi.

Questa dinamica assume ulteriore rilevanza nel momento in cui la Cina rafforza i legami con attori come Russia, Corea del Nord e Iran, proponendo una visione dell’ordine internazionale apertamente alternativa a quella occidentale. In questo contesto, la memoria della guerra viene integrata in un discorso più ampio che mira a delegittimare l’attuale architettura di sicurezza regionale.

In definitiva, le donne di conforto restano una parte importante della storia del Novecento asiatico, ma il modo in cui questa memoria viene mobilitata oggi rivela soprattutto le priorità politiche del presente. Il caso di Melbourne mostra che sempre più persone, anche all’interno delle comunità direttamente coinvolte, rifiutano che il passato venga usato come leva di pressione geopolitica. In un’Asia orientale segnata da rivalità strategiche crescenti, la vera posta in gioco non è il ricordo della guerra, ma il controllo della narrativa che lo circonda.

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