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Deniz Ozdogan: una bomba emotiva investe il Teatro San Giorgio

TSU – Dettagli d’Inverno apre con il botto di Istanbul-beat

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UDINE – Il teatro San Giorgio è un angolo di città che pare collocato in una realtà parallela, in centro eppure fuori dalle principali arterie, moderno e retrò al tempo stesso, inside per outsider. Introducing Michele Polo è qui che va di scena la prima serata del Teatro di Sosta Urbana – Dettagli d’inverno: il “movimento”, perchè sarà questo il tema dominante.

Una scalpitante Aida Talliente legge Federico Pace, pre-opening act della performance di Viso&Rachel: un’interpretazione candida e disarmante per i trentotto (contati!) eletti della sala Cechov, dove il viaggio è un gesto a placare inquietudine su fondale nero e tubature da riscaldamento protagoniste nel più puro degli stili underground. Un attimo dopo che la beniamina di casa ha citato Camus con il “valore del viaggio che sta nella paura” si manifesta in un estratto di Va pian e fa presto il duo flashdance-avanguardista dei sopracitati V&R su ritmi antagonisti in giallo e blu, percorso  generazione erasmus con inciampi per sguardi alienati ed increduli su riff campionati di viola e Stratocaster. Raga indiani luminosi e brusche interrogazioni, ancora interruzioni, bambini che si invertono i ruoli in un’ “umanità porosa”. Background circense, espressività che colpisce. Applauditissimi.

Istanbul-beat si apre con una chitarra babazula strabordante di riverbero piratesco e l’accattivante painting a far da ideale scenario per il raki blues (con baffi finti) di Deniz Ozdogan, attesissima protagonista della serata. Un’ora e mezza in compagnia della biografia di DO, o meglio di una parte della biografia: dal colpo di stato in Turchia del 1980 ai genitori in galera, dalla retorica antimilitarista alla questione curda, dai libri “proibiti” mascherati da Harmony nella biblioteca di casa al percorso improbabile che andava dalla stessa in zona Asiatica a Taksim, parte europea.
Appuntarsi delle suggestioni su di un foglio intonso e poi, come si faceva in quel passatempo delle parole crociate, tirare una riga da una all’altra al fine di vedere che disegno ne vien fuori. Se l’emotività valesse cento punti nel premiare uno spettacolo, Istanbul-beat sarebbe quotato cento e uno.

Ancora il cuore degli zingari che batte in dispari, fotografie visive e olfattive di Bisanzio-Costantinopoli-Istanbul che sanno di diesel, gabbiani, fumo, volti, gente e ancora gente. Sensualità che rapisce, sguardo magnetico che fa da contraltare ad un sorriso quasi impacciato. E poi bomba al plesso solare, cuori in frantumi, lacrime agli occhi per la lotta greco-romana di cui parla la nostra protagonista, età undici anni, indicandone il fantasma dietro le quinte della memoria. Lo stupratore che chiama per nome e per cognome, insultandolo prima e sussurandogli poi – nella più efficace delle catarsi – “dopo venticinque anni ho vinto io!” Una donna più forte che mai.

C’è un tempo per nascere ed uno per morire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace perchè” tutto si dissolverà” in un crescendo liberatorio battiatiano che poggia su di un arpeggio che ha del salvifico, con tanto di album fotoricordo che scorre sui titoli di coda. Si chiude così il teatro-terapia della Ozdogan dove Istanbul rimane in ombra, oscura, malcelata e quasi pretestuale per  mettere in scena il vero ed autentico spettacolo, Deniz-beat. Ovazione finale.

(foto: Caterina Di Fant)

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