Gorizia
Ville Lumière, Cormons, Paris
Jacopo Veneziani, flanerie parigina sulle tracce dei grandi artisti del Novecento in un’anteprima regionale Artisti Associati

CORMONS – “Il 17 aprile del 1967 qui non è successo niente!” Segue, esplosione di ilarità. La provocazione di ispirazione dadaista sarà una dei passaggi più riusciti della performance di Jacopo Veneziani, storico dell’arte, divulgatore e figlio di Marcello V. no!, perchè questa è invece una fake news, protagonista della serata cormonese, siparietto tra le scene che scandiranno la serata in ordine squisitamente cronologico trasformandola in un vero e proprio happening.
Si parte a Montmartre, al 13 di rue Ravignan, la collina dei balocchi, sorta di paradiso fiscale ante litteram dove si poteva bere con poco e per questo zona periferica attrattiva per diseredati, studenti, aspiranti artisti. Sappiamo che oggi, lungi da quello spirito bohemienne, la stessa vanta i più alti prezzi al mq d’Europa, merito o colpa anche dei sopracitati.
Cormons chiama Parigi passando per Cividale: già perchè è proprio qui che il giovane Jacopo si appassiona studente all’arte, folgorato dalle misure auree del Tempietto Longobardo, che gli svolteranno la vita. Nel mentre, Gabriele Pino, unico compagno di viaggio del nostro, racconta a schizzi di matita digitale scene improbabili di vita sulla collina dei vizi in epoca Belle Epoque. Pablo Ruiz è il primo artista che incontriamo nello storytelling, che poi siccome era un nome un po’ anonimo, prende quello della madre e si trasforma in Picasso, abile tanto quanto pittore che in veste di manager di sé stesso.
Tutto cambia, Parigi cambia. L’expo del 1900 la arricchisce di treni che viaggiano sotto terra e luci che la illuminano a giorno. L’incedere frenetico, a tratti ansiogeno, didascalico con il sorriso, mai scolastico, di JV trasporta abilmente il parterre in un viaggio attraverso i decenni artistici della capitale culturale del mondo con personaggi reali ed altri – altrettanto reali – ai quali associa per analogia alcuni nostri pop-trash-contemporanei accostando chirurgicamente alle grandi opere esposte al Museo d’Orsay, Louvre o Pompidou i vari Mauro Corona, Mara Maionchi e Marco Liorni. E’ un successo indiscutibile.
Curiosità, boutade, aneddoti, divertissement. Quadri degli impressionisti barattati per uova al prosciutto, americani sfaccendati ma che pagano in dollari e bene stabilendo chi è bravo e chi no, l’arte che si affranca dal non dover per forza rappresentare la realtà, maschere in luogo di volti, ancora provocazioni e la burla del secolo con un asino che dipinge la tela dopo che gli hanno legato un pennello alla coda, titoli sui giornali e poi arriva il cubismo.
Si attraversa la Senna in cambio di una quindicina d’anni: Montparnasse ed Amedeo Modigliani: nel quartiere degli scultori uno scultore frustrato dipinge a colpi di scalpello ispirandosi alla grande pittura toscana con mani affusolate e colli lunghi quanto inquietanti, quanto unici. Vite da romanzo prendono forma nell’incedere del Veneziani: Beatrice Hastings, Berthe Weill, la prima mostra di Modì, anzi no, tutto sequestrato, c’è un nudo non contemplabile, la delusione, la depressione, il male di vivere, il lasciarsi morire, la moglie che si lancia dal quinto piano. Tragedia grandeur.
E siamo arrivati agli Anni Venti, oltre oceano ruggenti, qui folli, che poi è quasi la stessa cosa. “Nascono -ismi come erbacce”, sentenziava uno famoso. E però ci si diverte: 4000 cinema, 600 teatri, sale da ballo e una regina: Kiki de Montparnasse, la donna-violoncello di Man Ray, nuovi costumi, donne muse di sé stesse, l’arte al servizio della pubblicità, va giù tutto, è arrivata la crisi del ‘29.
Una frangia un po’ unta, espressione poco rassicurante, due baffetti a spazzolino. Non è Charlie Chaplin. E’ un artista anche lui, o meglio ha cercato di esserlo, respinto dalle accademie è poi diventato cancelliere della grande Germania ed ha una mezza idea di spazzar via alcuni simboli di Parigi. Scappano tutti in America, chi può naturalmente, tra gli artisti Matisse e Picasso restano nella resistenza; da qui il famoso aneddoto (un po’ gonfiato) del Guernica che “lo avete fatto voi!” rivolgendosi ad un ufficiale della Wehrmacht.
Il Café de Flore, con una delle innumerevoli e immancabili targhe incastonate in ogni angolo della metropoli a commemorare la presenza di una delle coppie più famose dell’epoca successiva: Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, ben arrivati esistenzialisti! E poi c’è anche la fotografia, naturalmente, quella che fa rinascere Parigi alla fine della guerra e ne testimonia la nuova vita attraverso i volti dei jazzisti, di Juliette Greco, nei tagli degli abiti di Dior o nell’iconico bacio di Doisneau. Ma è un fake anche quello, una composizione, nessun scatto rubato. Però facciamo finta di niente, che è suggestivo e romantico pensarlo sempre ancora così!
Sipario con il mondo dell’arte che pian piano abbandona la Nostra per stabilirsi in pianta stabile a Manhattan, con un altro ruolo, un altro registro, altri protagonisti. E noi, che invece rimaniamo ancora qui, fedeli alla riflessione di quel famoso regista in quel altrettanto celebre film dove tutto accadeva a mezzanotte, interrogandoci meravigliati sul come mai la gente scelga di vivere in altre parti del mondo, dal momento che… esiste Parigi! Serata da ricordare.
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