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Verosimilmente Vostro, Vincent.

Marco Goldin porta in scena gli ultimi giorni di Van Gogh, tratto dal suo libro omonimo e con le musiche di Battiato concesse per l’occasione

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foto: ©Simone Di Luca

UDINE – Il diario ritrovato degli ultimi giorni della vita di Vincent van Gogh: una finzione operativa, di indubbia efficacia narrativa, firmata Marco Goldin, non nuovo ad operazioni storico-pittorico-piroettistiche anche questa volta decisamente riuscite.

«Ho deciso di partire. Non posso più restare qui, mi scoppia il cuore. Ho detto ieri al dottor Peyron che domani salirò sul treno e andrò via per sempre.» Buio in sala.

Così, dopo la premiata ditta con Remo Anzovino (il quale nel frattempo continua a prendersi soddisfazioni around the world) sulla storia dell’Impressionismo, Marco Goldin porta in scena uno tra i suoi o forse il suo – favorito. Un diario ritrovato, si diceva, la corrispondenza con Theo, il fratello, nessun orecchio tagliato, le musiche di un altro maestro – Franco Battiato – e tanta, tanta pittura. Un vortice di colori fin a sommergere la platea del Giovanni da Udine.

Divulgazione redentrice: divulgare è un mestiere piuttosto complicato. Farlo con parole semplici è una prerogativa di quelli davvero bravi, soprattutto se i temi con cui ci si confronta sono complessi. A volte il linguaggio è quasi scarno, ma lo scopo di MG è nobile: riportare vita, negli ultimi istanti di uno tra i più grandi artisti contemporanei, laddove si stava già insinuando la morte. 

A seguire, redenzione dell’eroe: far conoscere alle giovani generazioni il classico eroe non capito anzi ripudiato dalla propria, di generazione. Operazione riuscita.

Didascalismo maniacale: Goldin non fa mancare alcuna data, alcun indirizzo, nessun orario, neanche una sfumatura, che neanche su Wikipedia. Registro vivente.

Peregrino dell’anima: VvG che non amava la città: troppa gente, troppo dinamismo, troppa ipocrisia. Meglio la campagna, ricca di spunti, di ispirazione, di vita. E i viaggi, fuori come dentro, una ricerca che prima che geografica è soprattutto mappa dello spirito: da nord a sud, dal Bramante alla Provenza, dalla famiglia alla casa di cura. E da sud, una volta catarticamente purificato nel mare, ripartire verso nord, Auvers, in un circolo che vuoi o non vuoi si riconduce sempre al punto di partenza.

Volti, non volti: similitudini di case, di ambienti, di facce, di persone, di sensibilità, di sofferenze: nell’amico dottore cerca il padre, nel fratello cerca sé stesso, nel nipotino che porta il suo medesimo nome forse quello che sarebbe potuto divenire senza quel talento, croce e delizia di una vita tormentata come poche.

La pittura come la vita: Gauguin e il loro rapporto, amicizia non-amicizia dirà il Nostro; e poi l’idea di una comune di artisti che si scambiassero opinioni, consigli, suggerimenti, tecniche, talenti, forse anche l’anima.

E così mentre platea, galleria e loggione pendono dalle parole, dalle labbre, dai respiri del narratore, scorrono sugli schermi alle sue spalle – nei quali egli si immerge e riemerge – immagini, dipinti e fotografie iconiche.

Van Gogh e i campi di grano. Van Gogh e i cieli stellati. Van Gogh e i mandorli in fiore. Van Gogh e la chiesa di Notre Dame, gotica, ma non quella che pensiamo noi, ma se vuoi ancora più suggestiva. Van Gogh e gli avventori del bar. Van Gogh e le ultime lettere. Van Gogh e un colpo di pistola verso van Gogh.

Quando il verosimile è più vero del vero. Battiato per Goldin per van Gogh. Per noi.

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