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Quelle serate sotto l’angelo del jazz

Il piazzale del castello di Udine si conferma luogo magico per gli eventi che contano: la Serata Brasil e Pat Metheny, momenti incredibili per Udin&jazz

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foto: ©Angelo Salvin

UDINE – Martedì 18 agosto: sulla sommità del colle del castello, con una vista straordinaria che va dai Colli Orientali alle Alpi Carniche e giù giù fino alla laguna, nell’attesa del più grande jazzista vivente, in una serata dal meteo simil apocalittico, alla stregua di Attila ma fermamente protetti dall’angelo dorato ammiriamo Aquileia bruciare (in una concomitanza di eventi straordinari) sotto i colpi di violino del menestrello Angelo Branduardi che ad inizio carriera rispolverava, riarrangiava e si appropriava di un brano di Mainerio, un pezzo del cuore del Friuli, che farà la sua fortuna cantando un’intima antitesi alla morte che celebra il brano stesso. 

Parliamo di un altro grande della nostra musica, un certo Pino Daniele, che soleva presentarlo così durante una tournée che lo vedeva special guest nella sua line up: “ho il piacere di avere qui con me sul palco il più grande musicista del mondo!” Seguiva nome e cognome, seguiva ancora boato del pubblico, seguiva l’attacco jazz con il suo proverbiale suono, seguiva ancora il delirio del pubblico. 

Senonchè uno dei lugli più piovosi, imprevedibili e ventosi degli ultimi anni cerca di rovinare la festa di chiusura alla 33esima edizione di Udin&jazz per mezzo di un temporale stile caraibico ma l’indomita perseveranza dell’armata Velliscig rimette il palco a posto by the way to Kansas City in men che non si dica con un  perfezionismo che definiremo americano. E’ tutto pronto.

Due sere prima il vicerè del Brasile, ambasciatore di samba e bossa nova con delega all’individuazione di nuovi talenti – Max De Tomassi – introduce l’eredità che ogni anno porta al festival nella sua Serata Brasiliana: Amaro Freitas ed Eliane Elias. Pianoforti agli antipodi: il primo col suo stile percussivo, selvaggio, amazzonico. La seconda con una classe delicata, cittadina, sobria. Ancestrale, il retro primitivismo che esprime ha una cifra stilistica ben marcata, inconfondibile e l’impressione è che con qualche produzione mirata si sentirà parlare a lungo di lui nel prossimo futuro, anche senza il completo giallo elettrico che indossa per la serata di gala. Fenomeno Amaro. I grandi classici della tradizione, quelli che vorresti ascoltare in una cartolina da Leblon con sullo sfondo Ipanema, o all’inverso da Copa con il Pan di Zucchero che fa da contraltare al tuo cocktail. Jobim, Gilberto ma soprattutto Caymmi, magari meno conosciuto qui da noi ma altrettanto espressivo. Convincente senza strafare, Eliane.

Dicevamo, di un’edizione che ritorna ai fasti degli anni d’oro dopo la parentesi balneare di Grado ed una all’insegna dell’aria condizionata. Eravamo rimasti alla serata di chiusura, al sipario. Ebbene, lo sappiamo, ai i puristi del jazz ha sempre fatto un po’ storcere il naso; non era mai successo infatti che un jazzista riempisse gli stadi, strizzando l’occhio ora al rock, poi al blues, poi alle musiche latine, alle ritmiche carioca, virando sulla world music e finendo persino nelle compilation acid e New Age, con un contraccolpo elitario di contemporanea. Ebbene, i suoi detrattori non possono far finta di non vedere una cosa ovvero che non c’è nessuno nella storia della musica che abbia messo un ponte così solido tra il jazz e gli ascoltatori che non provenivano da quel mondo; nessuno ha mai fatto confluire così tanto pubblico nella galassia jazz e colui che scrive è proprio uno di quelli se non ci fosse stato lui probabilmente non avrebbe mai incontrato Davis o Coltrane… perché è come se ce li avessi presentati, introdotti, resi un po’ più familiari.

Ore ventidue passate: eccolo, sale sul palco. Pat Metheny, è lui, è una visione. E si capisce subito una cosa ovvero scaletta da best of. Pubblico in delirio dal primo all’ultimo secondo, fan dell’ultimo minuto, della prima ora e maniacali che annoverano la collezione di oltre cento biglietti dei suoi live.

Ma anch’egli umano è: desta qualche perplessità la scelta di uscire in trio con fenomeni giovanissimi sommersi da applausi ma senza bassista. Giri di basso campionati, in playback, con il sequencer, splittati sulla chitarra synth, fatti dal tastierista, orchestrion cibernetico, intelligenza artificiale, poteri extrasensoriali? Nel parterre, tantissimi musicisti di casa nostra presenti e riconoscibili, si discute ed ognuno ha più ragione dell’altro, naturalmente. 

In ogni caso il momento più riuscito risulterà il medley a chiudere solo con chitarra acustica nel quale il nostro ci rammenta, qualora ci fosse bisogno ma non ce n’è, che il suo talento è pressoché immutato negli ultimi cinquant’anni.

Sipario-bis destinato al suo interrogativo più iconico: are you going with me? E la risposta è naturalmente – Yes! Appuntamento alla trentaquattresima edizione.

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